Radio a palla in macchina? È reato. Un´automobilista messinese condannato.
27-02-2016 23:17 - Attualità
Volume della radio a palla, amplificatori che fanno vibrare persino i marciapiedi e finestrini aperti per coinvolgere anche i passanti? D´ora in poi, gli amanti della musica ad alto volume e degli impianti stereo superpotenti in macchina potranno dire basta alla loro passione. Aldilà del buon gusto, infatti, chi gira in auto per la città con l´audio a mille si "macchia" del reato di cui all´art. 659 c.p.
Lo sa bene un automobilista messinese che fiero del proprio impianto stereo monstre e di ben tre amplificatori da 200 e da 1500 watts girava tutto impettito, di sera, per le strade cittadine.
Fermato dalla polizia, l´uomo si è visto non solo sequestrare l´impianto ma si è beccato anche una condanna per "disturbo del riposo e delle occupazioni delle persone", confermata ora dalla Cassazione (cfr. sentenza n. 7543/2016, qui sotto allegata).
Per gli Ermellini, infatti, non c´è dubbio sulla condotta molesta dell´uomo e a nulla valgono le doglianze dello stesso che lamentava la mancata dimostrazione della concreta idoneità potenziale alla lesione del bene giuridico protetto dalla norma penale, giacché non c´erano state denunce da parte dei residenti né tantomeno erano stati effettuati accertamenti strumenti del rumore.
Per la terza sezione penale, ad essere decisivo, ai fini della condanna, è il resoconto fatto da uno degli agenti che hanno provveduto anche al sequestro dell´impianto.
In tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone – hanno affermato infatti dal Palazzaccio – "l´effettiva idoneità delle emissioni sonore ad arrecare pregiudizio ad un numero indeterminato di persone costituisce un accertamento di fatto rimesso all´apprezzamento del giudice di merito, il quale non è tenuto a basarsi esclusivamente sull´espletamento di specifiche indagini tecniche, ben potendo fondare il proprio convincimento su altri elementi probatori in grado di dimostrare la sussistenza di un fenomeno in grado di arrecare oggettivamente disturbo della pubblica quiete".
Per cui, condanna confermata per l´uomo che può dire addio allo stereo oltre a pagare 300 euro di ammenda, mille euro alla Cassa delle ammende e le spese processuali.
Cassazione, sentenza n. 7543/2016
Di Marina Crisafi - www.StudioCataldi.it)
Lo sa bene un automobilista messinese che fiero del proprio impianto stereo monstre e di ben tre amplificatori da 200 e da 1500 watts girava tutto impettito, di sera, per le strade cittadine.
Fermato dalla polizia, l´uomo si è visto non solo sequestrare l´impianto ma si è beccato anche una condanna per "disturbo del riposo e delle occupazioni delle persone", confermata ora dalla Cassazione (cfr. sentenza n. 7543/2016, qui sotto allegata).
Per gli Ermellini, infatti, non c´è dubbio sulla condotta molesta dell´uomo e a nulla valgono le doglianze dello stesso che lamentava la mancata dimostrazione della concreta idoneità potenziale alla lesione del bene giuridico protetto dalla norma penale, giacché non c´erano state denunce da parte dei residenti né tantomeno erano stati effettuati accertamenti strumenti del rumore.
Per la terza sezione penale, ad essere decisivo, ai fini della condanna, è il resoconto fatto da uno degli agenti che hanno provveduto anche al sequestro dell´impianto.
In tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone – hanno affermato infatti dal Palazzaccio – "l´effettiva idoneità delle emissioni sonore ad arrecare pregiudizio ad un numero indeterminato di persone costituisce un accertamento di fatto rimesso all´apprezzamento del giudice di merito, il quale non è tenuto a basarsi esclusivamente sull´espletamento di specifiche indagini tecniche, ben potendo fondare il proprio convincimento su altri elementi probatori in grado di dimostrare la sussistenza di un fenomeno in grado di arrecare oggettivamente disturbo della pubblica quiete".
Per cui, condanna confermata per l´uomo che può dire addio allo stereo oltre a pagare 300 euro di ammenda, mille euro alla Cassa delle ammende e le spese processuali.
Cassazione, sentenza n. 7543/2016
Di Marina Crisafi - www.StudioCataldi.it)